Intervista a Mario Menasci, ex allenatore SGS Lazio: “il mio sogno è diventare un allenatore professionista”

Intervista a Mario Menasci, ex allenatore SGS Lazio: “il mio sogno è diventare un allenatore professionista”

di Lorenzo Petrucci

 

Mario Menasci, uno dei giovani tecnici più preparati ed esperti a livello nazionale. Nonostante la giovane età già in possesso di ben due patentini rilasciati da Coverciano (Uefa A  e osservatore). Determinato, preparato con basi e principi importanti per la crescita di giovani calciatori. Reduce dall’esperienza di tre anni nel settore giovanile della Lazio ha ottenuto e assorbito quella maturità necessaria ora per diventare nel più brevetempo possibile un allenatore professionista.

 

Mario, nonostante la tua giovane età hai una carriera da allenatore già ricca e importante, ultima nella Lazio per tre anni, che esperienza è stata?
“La mia esperienza nel settore giovanile della Lazio è iniziata in primis per il Generale Giulio Coletta che mi aveva visto lavorare e con il quale avevamo avuto una prima conoscenza sul campo per poi ottenere l’ok anche del Presidente. L’ingresso nella Lazio per me è riconducibile a un evento personale molto sentito, il giorno dopo infatti venne a mancare una persona famigliare molto cara e questo l’ho sempre visto come un segno del destino, anche per me era un grande obiettivo quello di entrare nel settore giovanile biancoazzurro, quindi nonostante il mio rapporto con la Lazio sia finito resta una squadra alla quale sono legato per tre anni bellissimi che non posso di certo dimenticare.”

 

1458581_10152037631367442_1265699350_nCon la Lazio hai ottenuto anche successi importanti.
“Si certo, soprattutto nella stagione 2013/14 quando guidavo i Giovanissimi sperimentali ci siamo tolti delle soddisfazioni, come il Torneo di San Basilio, la Coppa Italia Under 13 vincendo in finale contro il Lucerna e poi il Trofeo città di Nettuno in cui abbiamo sconfitto anche società professionistiche. Vorrei ricordare anche i successi con gli Allievi Nazionali guidati da Franceschini con i quali raggiungemmo gli spareggi nazionali e perdemmo con la Fiorentina al passo precedente delle Final Eight.”

 

Nei tre anni alla Lazio com’è stato il rapporto con i vertici dirigenziali?
“Col Presidente Lotito è stato anche lì un ottimo rapporto, avendo avuto la fortuna di conoscere una persona che in realtà è molto diversa da come appare. A certi livelli si richiede un livello di imprenditoria e astuzia e delle abilità specifiche ma ciò non tolgono poi peso al valore umano della persona. Nel Presidente Lotito ho trovato una persona con dei valori i quali la generosità, la bontà d’animo e la sensibilità, valori non facili da notare se non si ha un contatto diretto con la persona.

 

Sei reduce dal corso di Coverciano come osservatore, grazie a questo hai accesso anche a quello di Direttore Sportivo. Ora, oltre come allenatore, ti si aprono anche altri spiragli?
“L’idea è nata dal fatto di valorizzare al meglio il tempo libero che avevo a disposizione e in più avvantaggiarmi per il post carriera da allenatore, in quanto una volta smesso di allenare mi piacerebbe lavorare nell’area tecnica di una società di calcio. In questo corso ho avuto il piacere di assistere a lezioni tenute dai professionisti più riconosciuti nel panorama nazionale, tra questi Sabatini, Paratici, Bigon, Fusco e altre figure che ci hanno dato una chiara visione dell’area tecnica e amministrativa. Ammetto che nella mia idea c’era anche quella di partecipare al corso di match analist ma le ore erano in comune e quindi questo lo rimanderò alla prossima sessione, anche perché credo che ormai un allenatore debba avere anche una conoscenza ampia di vari aspetti di campo e non solo.”

 

1470186_10152127723292442_645875320_nIn Italia sei l’unico allenatore a 31 anni in possesso di due corsi di Coverciano (l’Uefa A e quello degli osservatori), immagino che questo sia per te un motivo di grande orgoglio?
“Per me è in principio un motivo di grande responsabilità, perché quando mi relaziono con l’esterno è fondamentale essere precisi ed essere completi in tutto ciò che viene detto e trasferito, anche perché i titoli danno competenze ma anche responsabilità. Io lavoro per crescere e per migliorarmi quotidianamente, quindi quello che cerco è mettere le mie competenze e le mie conoscenze a un confronto con persone che hanno la stessa voglia come mia.”

Parlando di te come allenatore, che tipo di allenatore sei, che metodi e principi di lavoro utilizzi?
Nel corso degli anni ho maturato un convincimento che il calcio si sta muovendo verso una direzione nel quale il modulo non conta o addirittura non esisterà più, con i calciatori e le loro qualità che farà la differenza con la loro abilità nel adattarsi ai vari mutamenti di gioco. Ormai tutto ciò che è ripetuto e mnemonico tenderà ad essere studiato, previsto e anche arginato al contrario della capacità di sapersi rinnovare e di adattarsi alle situazioni in corsa in maniera imprevedibile. Non sono d’accordo con le società che impongono un modulo in tutte le categorie. Ci tengo a precisare che il ruolo non è altro che un momento di gioco nel quale si riprende da palla inattiva, col ruolo che poi diventa solo un’interpretazione. Questo porta i ragazzi ad occupare ruoli diversi ai quali sono originariamente assegnati. Questo porta ad avere giocatori con intelligenza calcistica e l’intelligenza calcistica è la vera differenza tra un calciatore di qualità e uno comune.”

 

Nelle varie categorie che hai allenato alla Lazio hai avuto varie ragazzi che oggi stanno trovando sempre più fortune, vuoi farci alcuni nome tra questi che ricordi?
“Il gruppo dei 2001 di adesso è un gruppo hanno quasi tutti lavorato con me e giocano quasi tutti con l’Under 16, non mi piacerebbe citarli però sono sicuramente ragazzi che hanno delle qualità importanti sotto aspetti diversi, tra questi sicuramente Nicolò Armini è un giocatore che ha una personalità fortissima tanto che nell’esordio stagionale quando ero suo allenatore scelsi lui come capitano e mi accorsi subito di aver fatto la scelta giusta. Di quel gruppo ricordo anche Federico Cirillo che è un ragazzo che ha una serietà e una professionalità nell’allenarsi e nel capire le richieste dell’allenatore fuori dalla norma, anche Alessandro Cerbara che come cambio di passo è uno dei pochi in Italia. Un po’ con tutti si era creato un rapporto forte con ognuno che rende quel gruppo speciale. Di quelli attualmente in Primavera Folorunsho è un giocatore che se trova un suo equilibrio personale può essere devastante, un leone nel recuperare palla e con delle buone abilità tecniche.”

 

In questi mesi come è finito il tuo rapporto con la Lazio ha avuto l’opportunità di vedere partite per farti un idea del livello? E magari puoi darci anche un giudizio su questa prima parte di stagione delle varie squadre del settore giovanile biancoceleste?
“Per quando riguarda le varie categorie della Lazio, nonostante non le abbia ancora viste personalmente, posso dare un mio giudizio. Partendo dalla Primavera forse sta andando anche un po’ al di sopra di quelle che erano le reali aspettative iniziali, anche perché è un gruppo nuovi e molti stanno affrontando questo campionato per la prima volta. L’Under17 la conosco poco anche se ho allenato diversi di loro lo scorso anno quindi non voglio sbilanciarmi. L’Under16 invece è forse il gruppo che conosco meglio perché come ho già detto ho allenato qualche anno fa e in alcune occasioni forse è penalizzata che diversi elementi devono salire ad integrare il gruppo maggiore ma sta facendo ugualmente risultati. L’Under15 è probabilmente il gruppo più forte che c’è nel settore giovanile della Lazio, un gruppo con tanto talento e penso che si giocherà l’accesso alle finali nazionali fino alla fine. Per quanto riguarda i 2003 invece penso che quest’anno debba vincere il titolo regionale poiché si presenta con un’eredità importante con due finali.”

 

10178040_10152383923907442_7239146963133503431_nNel tuo ultimo anno allo Lazio hai legato molto con un ex calciatore importante nel recente passato, Roque Junior, com’è nata quest’amicizia?
“Sicuramente con Roque è nato un rapporto molto forte, ci siamo conosciuti a Coverciano in occasione del corso Uefa A e abbiamo legato subito nonostante apparentemente abbiamo due carattere diversi, io più estroverso, lui più introverso, ma questa differenza iniziale poi ci ha anche aiutato a legare di più. Abbiamo avuto una condivisione calcistiche di idee e questa ci ha portato a sposare un’idea di calcio comune, cioè quella di sapere creare continuamente un caos organizzato, ovvero di situazioni nel quale i singoli calciatori fanno la differenza rispetto a dei movimenti, a delle giocate preordinate e quindi anche prevedibili. Abbiamo una piena sintonia sia dal punto di vista calcistico che umano che probabilmente ci darà la possibilità di lavorare insieme in futuro.”

 

Infine, che prospettive future hai?
“La mia ambizione è quella di continuare ad allenare ed è importante in questa fase qui, dopo l’esperienza alla Lazio e aver ottenuto dei titoli da Coverciano, non è importante quando ma come, cioè è importate effettuare la scelta giusta in relazione al contesto e all’ambiente che mi potrà dare la possibilità di lavorare a 360° sulle mie idee e che mi dia la possibilità anche di crescere se le mie scelte porteranno risultati, col mio obiettivo di diventare un allenatore professionista e quindi per esserlo è necessario crescere di continuo e non fermarsi. Non mi sento di individuare una categoria di riferimento o un campionato, mi sento di indicare come parametri sulla scelta della mia futura squadra questi aspetti qui, perché sono quelli necessari per permettermi di lavorare in maniera programmata e motivata, che sono requisiti più marcati che contraddistinguono la mia personalità da allenatore.”

Lorenzo Petrucci

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