Claudio Olivieri, bagliori di luce

Claudio Olivieri, bagliori di luce

di Giuseppe MASSIMINI

Osart Gallery a Milano ospita una selezione di lavori storici dell’artista, figura di primissimo piano dell’arte contemporanea




Opere di grandi dimensioni abitate da bagliori di luce affiorate da zone più scure. Chi visita la mostra è avvolto da una dimensione polisensoriale capace di suscitare forti emozioni e a ripensare al valore stesso della pittura che oggi, con l’uso di nuove tecnologie, è sempre più pallida ed evanescente.




Osart Gallery, in Corso Plebisciti 12, a Milano, ospita la mostra “Claudio Olivieri. La luce è sempre la prima luce” (a cura di Giorgio Verzotti, fino al 17 febbraio). Il titolo della rassegna riprende uno dei suoi aforismi più incisivi: “E’ lontano il giorno in cui, ad Olimpia, Prassitele mi fece capire che la luce non si posa sul mondo, ma lo rivela fondandolo; io da quel giorno vivo di quella sorgente, sempre temendone lo svanire inseguendone il Bagliore, perdendone le tracce, per poi, brancolando rinvenirle e continuare a vivere”. Figura di primissimo piano nell’arte italiana contemporanea, Claudio Olivieri è tra i maggiori esponenti della pittura analitica. Nato a Roma nel 1934, allo scoppio della seconda guerra mondiale si trasferisce a Mantova dove trascorre parte della sua infanzia. Nel 1953 inizia a frequentare l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, città in cui oggi vive e dove continua ad “inseguire il suo ideale di libertà pittorica”. Ha partecipato a Documenta 6 a Kassel nel 1977 e a diverse edizioni della Biennale di Venezia (1966, 1980,1986, 1990). Dal 1993 al 2011 è titolare della cattedra di Arte Visive e Pittura alla nuova Accademia di Belle Arti (NABA) di Milano.

Da sinistra, Una veduta della galleria con opere di Claudio Olivieri e un olio del 1987 “Eremita”




Dopo le prime prove di indirizzo informale ha sviluppato la sua ricerca attraverso una costante e progressiva depurazione di segno e materia, fino a concentrare la propria indagine sulle qualità fondanti del colore come “portatore di luce e non più aggettivo estetico”. Alla “pennellata” l’artista preferisce lo “spruzzo”. “Avevo bisogno di un colore aereo, il meno possibile collegato al gesto, volevo liberarmi del segno, attuare l’innopresenza dello spazio”. La mostra si apre con cinque oli su tela degli anni ’70, tutti nelle sfumature dei blu e degli azzurri. Dagli anni ’80 ai primi anni ’90 inizia per Olivieri un nuovo corso. Le tonalità scure dei primi lavori lasciano il posto a nuance più luminose e delicate in cui compaiono e trionfano le gamme cromatiche dei verdi-viola-blu, il lilla, l’azzurro indaco e il giallo. Il colore appare più sensuale e la luce (“una luce che rivela, non illumina”) acquista una crescente importanza rispetto al decennio appena concluso. La mostra registra, con alcune opere esemplari, Knossos (1981), Metempsicosi (1984) e Aphrodysia (1986) un’ evoluzione cromatica che l’artista mette in atto a partire dagli anni ’80. Il titolo di una delle opere esposte, Hyperione (1986), dal greco “che si muove al di sopra” ci suggerisce, ancora una volta, che la sperimentazione sul colore e sulla luce è parte integrante della produzione artistica di Olivieri e della sua visione poetica. Sempre percepita come luogo del mistero senza fine e senza tempo. “Qual è il futuro della pittura?” gli viene chiesto; “La luce” è la sua risposta.




Redazione

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