Mario Menasci, la forza ed il coraggio delle idee

Mario Menasci, la forza ed il coraggio delle idee

di Lorenzo Petrucci

A volte il punto migliore per raccontare una storia non è dall’inizio ma dalla fine. Estate del 2016, Mario Menasci dopo aver allenato per anni nelle giovanili della Lazio con ottimi risultati, tra cui un campionato a punteggio pieno con il gruppo 2002/2003, una stagione con gli Allievi Nazionali affiancando l’attuale ct dell’Under 18 azzurra Daniele Franceschini e la vittoria della Coppa Italia Under13 alla guida del gruppo 2001, si trova inspiegabilmente libero. Tuttavia lo spirito di iniziativa e la determinazione non gli manca di certo: si rimette sui libri e dopo aver già conseguito nella stagione precedente il patentino da allenatore Uefa A di Coverciano con il massimo dei voti e la menzione speciale del settore tecnico FIGC, consegue l’abilitazione da Osservatore Professionista Figc e da Match Analyst Pro AIAPC.

Il campo però inizia a mancare ed ecco l’occasione: 20 luglio 2017, quasi un anno dopo, dal bianco azzurro al blues, la leggera sfumatura, dalla Lazio alla panchina degli Allievi Fascia B elite del Savio, per un giovane tecnico preparato e dalle idee chiare che non si appresta a fermarsi, essendo entrato anche tra i 40 ammessi  al Master da Direttore Sportivo Professionista di Coverciano

 

Mario Menasci l’allenatore, dalla Lazio al Savio, dal biancoazzurro al blues, una sfumatura vincente

 

Dopo un anno di assenza, com’è tornare ad allenare una squadra?
“Era quello che volevo, anche se allo stesso tempo non volevo forzare la scelta. Sembra un paradosso però nel punto di equilibrio tra queste due decisioni è maturata quella di accettare la proposta del Savio. Alla fine della stagione scorsa il bisogno di allenare era diventato epidermico, lavorare 4/5 giorni a settimana dentro al campo diventa anche una fonte di veicolo delle proprie emozioni. A luglio, il Savio mi ha contattato dopo che Bartoli è andato alla Sampdoria. Fino ad allora, nonostante ci fossero già stati dei contatti per altre categorie, avevo messo in programma la possibilità di presentare domanda per il Master che sto attualmente svolgendo a Coverciano, quello da Direttore Sportivo. La mia idea che era quella di aspettare la fine del Master perché sapevo che sarebbe stato difficile riuscire a conciliare entrambi gli impegni. Il Savio si è dimostrato estremamente aperto e disponibile dandomi la possibilità di portare avanti il mio progetto: questo per me è stato determinante. Ho sicuramente la fortuna di avere un ottimo staff (Tempestini prep. Atletico, Spiridigliozzi, Allenatore in seconda, Giugni Team Manager) e se i ragazzi in mia assenza stanno lavorando bene il merito è esclusivamente loro.”

Esistono miliardi di allenatori, professionisti e dilettanti ognuno con caratteristiche e qualità, tu che aggettivo ti daresti?
“Parto dal presupposto che non mi piace essere autoreferente perché per un allenatore la reputo una negatività: un tecnico deve avere la capacità di saper analizzare le proprie criticità e lavorare quotidianamente per correggerle perché se non si ha la capacità di correggere se stessi non si ha nemmeno la capacità di saper correggere i propri calciatori. Posso dire però che cerco sempre di lavorare verso una direzione creativa; questo è un aspetto determinante perché in base alla mia esperienza dal punto di vista didattico la varietà stimola in maniera differente le qualità dei calciatori. Inoltre, aiuta il calciatore a trovare sempre stimoli nuovi e li aiuta ad esprimere qualcosa in più: questa è una ricerca interiore che faccio verso me stesso, non voglio sancirlo come pregio però me la voglio riconoscere come intenzione. Oltre a questo penso che sia determinante per un allenatore saper dettare delle regole di gestione del gruppo e saperle far rispettare anche in situazioni meno comode. Quando la situazione è di semplice lettura l’applicazione della regola è automatica ed immediata, diventa critica quando invece quello a cui si rinuncia è un qualcosa di rilevante: solo in questi casi tuttavia emerge realmente o meno la personalità dii chi decide. Non voglio dire se queste sono qualità che posseggo o meno però sono ricerche che effettuo verso me stesso e sulle quali sono molto esigente : d’altronde non si può essere esigenti con gli altri se in primis non lo si è verso se stessi.”

Per vincere, quanto è importante il rapporto allenatore-giocatori?
“L’interazione che avviene tra i membri dello staff e con la squadra secondo me incide in maniera determinante su un esito positivo o negativo di una stagione, sono aspetti sui quali io in via primaria pongo il focus. La capacità di saper creare empatia con l’ambiente circostante è una caratteristica determinante per allenare a buoni livelli. Tutto infatti deve essere finalizzato alla costituzione di un gruppo di lavoro armonico che sta bene insieme e ha il piacere di vedersi per lavorare: solo così’ riusciamo ad abbassare anche la percezione dello sforzo e della fatica. A conferma di ciò la scelta riguardo la composizione della rosa è stata effettuata su una base precisa legata alle caratteristiche sia caratteriali che tecnico-tattiche dei calciatori in modo da avere una giusta ripartizione delle loro caratteristiche primarie e non creare mai situazioni di sovraffollamento su alcuni profili specifici. Voglio che tutti abbiano la possibilità di giocare ma allo stesso tempo anche di non poter giocare perché poi sono entrambi aspetti educativi. In questo il numero di rosa corta è stato voluto appositamente perché ogni giocatore in più è un potenziale malcontento e ogni malcontento purtroppo è una fonte di destabilizzazione dell’armonia dello spogliatoio. A volte si può giocare poco non perché non si è bravi ma perché si è tanti: questo è quello che io voglio evitare, creando un numero di rosa ridotta in cui tutti si sentano coinvolti e protagonisti perché questa è la direzione nella quale poi il calciatore è orientato a esprimere il massimo delle sue potenzialità. In questo discorso rientra anche quello della riduzione del rapporto “uomo-palla” durante gli allenamenti, minore è il numero di calciatori che lavorano su un pallone e maggiore è il potenziale di crescita, soprattutto tecnica, di un calciatore: a mio modo di vedere all’interno di una metodologia funzionale un calciatore deve avere un contatto diretto e continuo con la palla. Voglio porre l’attenzione su un aspetto: ogni squadra ha delle richieste intrinseche che un allenatore deve essere bravo a leggere, ogni gruppo ha delle chiavi di lettura diverse che l’allenatore deve trovare molto velocemente perché poi il corretto punto di equilibrio ha delle sfumature che divergono da gruppo a gruppo. Prima si trova la chiave giusta e prima vengono individuate le sfumature che devono rendere più accentuato un comportamento rispetto a un altro. Più si accellera questo processo e prima l’allenatore ha la possibilità di raggiungere anche i suoi obiettivi didattici oltre a quelli di natura gestionale essendo poi gli uni diretta conseguenza degli altri.”

In questo periodo, oltre ad allenare i 2002 del Savio, stai svolgendo il Master da Direttore Sportivo a Coverciano, come fai? E che esperienza è e magari vedi in un tuo futuro anche questa prospettiva?
“Per far conciliare questi due impegni ci sono due fattori fondamentali: il primo è la forza di volontà. Questo è sicuramente l’aspetto più importante, il moto perpetuo che mi spinge ogni mattina a dare il meglio per cercare una crescita personale e professionale continua. Il secondo fattore è l’organizzazione, incentivato molto dalle sinergie di staff che si sono create con i miei collaboratori. Avere la possibilità di lavorare con dei colleghi con i quali nasce un rapporto di stima, fiducia, ed aperto confronto è determinante. Una capacità indispensabile per chi deve gestire risorse umane è quella di saper delegare: la capacità di delega è una delle grandi abilità che contraddistingue i sistemi di successo in ogni forma di business nell’età contemporanea. La delega si poggia sempre su una forte componente fiduciaria del rapporto: avere la capacità di dare fiducia o meglio la forza di dare fiducia, a costo di prendere qualche rischio, è l’unica reale forma di investimento che può portare un ritorno da ogni punto di vista: affettivo-emotivo, educativo e tecnico-tattico. Al contrario, chi invece tende ad accentrare troppo su di sè ragiona prevalentemente in una prospettiva di breve periodo ma nel lungo non avrà mai la possibilità di poter supportare un lavoro globale ed integrato da solo.
Per quanto riguarda la seconda domanda, ritengo che la differenza nel calcio del futuro non la faccia solo una prospettiva esclusivamente di campo: oramai il web fornisce praticamente a chiunque la possibilità di prendere degli spunti ed apparire aggiornato a livello di proposte sul campo.  Ritengo invece interessante sviluppare una prospettiva che sia allargata e che prenda come modello quello che già avviene in alcuni paesi britannici. Mi piace pensare che l’allenatore possa avere delle competenze globali, legate anche alla gestione contrattuale dei rapporti con il calciatore, alla gestione in prima persona del mercato ed al coordinamento di dipartimenti interni di scouting e Match Analysis. L’armonia tra le sfere indicate può incidere in maniera determinante poi anche nella gestione interna dei rapporti tra i calciatori stessi ed essere anche più coerente e funzionale al raggiungimento del massimo risultato sportivo. Mi piace pensare di lavorare in un calcio che non si accontenta ma che cerca di crescere continuamente tramite l’evoluzione delle proprie conoscenze e la valorizzazione dei propri talenti. ”

La chiamata del Savio è arrivata dopo l’addio di Bartoli e il suo passaggio alla Sampdoria. È stata un po’ una sliding doors per te?
“Ammetto che avevo parlato con diverse società sia nel Lazio che fuori regione ma che avevo messo in programma di rimanere fermo qualche altro mese per non perdere il corso a Coverciano. Quando mi è arrivata la chiamata del Savio da un lato ero rimasto lusingato però dall’altro non nascondo che, non volendo rinunciare al Master, mi sono preso una pausa di riflessione. Quello che alla fine mi ha convinto del tutto è stata la forza con la quale Giulio Lucarelli e Mario Guerra mi hanno voluto e questo mi ha da un lato motivato e da altro responsabilizzato tantissimo. Con il loro entusiasmo hanno contribuito a far scattare in me una molla interiore che mi ha fatto dire di si. Le mie riflessioni iniziali erano legate alle difficoltà che avrei incontrato durante le settimane di contemporaneità con il probabile ingresso al Master di Coverciano: rischiare di non lavorare al massimo avrebbe avuto poco senso sia per la società che per me. So che per ricambiare questa fiducia dovrò fare davvero bene!!( ride ndr).  Qui al Savio basta farsi una passeggiata accanto agli spogliatoi ed alzare lo sguardo.. vedere le immagini di tutte squadre vincenti dei campionati passati, alcune addirittura in bianco e nero, mi ha trasmesso un senso di forte tradizione storica e quella giusta dose di magia che alla fine mi ha portato ad accettare.”

A maggio prossimo saresti soddisfatto se…?
“Sarei soddisfatto solamente se tutti i miei ragazzi, all’esito dell’ultima partita giocata, uscissero dal campo felici e col sorriso sulle labbra. Questa sarebbe la vittoria più bella. Poi cosa quel sorriso possa rappresentare solo il futuro ce lo potrà raccontare..”

 

Redazione

Il sito del settimanale 'Nuovo Corriere Laziale' testata che segue lo sport giovanile e dilettantistico della regione Lazio.

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