I (nuovi) signori del calcio: i procuratori

I (nuovi) signori del calcio: i procuratori

di Simone Ducci

Il calcio moderno oramai gira sempre più insistentemente attorno alla figura, un tempo ugualmente importante ma decisamente più marginale, del procuratore (sportivo). Quest’ultimo termine deriva dal latino procurator e significa letteralmente “chi procura qualcosa o chi ne è la causa o il responsabile” (Treccani).

La figura in esame è antichissima, dal momento che, nell’epoca imperiale romana, i procuratori erano preposti alla rappresentazione dell’imperatore per l’amministrazione del patrimonio e delle province imperiali.

Calato nell’ambito sportivo contemporaneo, questo soggetto svolge la funzione di attività di assistenza circa la stipula dei contratti relativi all’ambito sportivo quali, per esempio, il contratto lavorativo sottoscritto tra una società e un atleta.

La definizione appena fornita deve, però, necessariamente fare i conti con il relativo aspetto deontologico: come ci insegna, infatti, il recente “caso” del portiere del Milan Gianluigi Donnarumma, la forza e il blasone di un bravo procuratore spesso si vede dalla massimizzazione del guadagno del suo assistito e, di conseguenza, del proprio compenso. A tal proposito, infatti, la FIGC recentemente ha pubblicato gli esborsi dei club di Serie A per i procuratori sportivi relativi all’anno 2016, evidenziando il fatto che gli agenti abbiano ottenuto compensi per una cifra di poco inferiore ai 200 milioni di euro.

Nella fattispecie relativa al giovane rossonero, inoltre, si è evidenziata tutta la forza contrattuale che può possedere un rappresentante di un atleta, la quale può arrivare anche a mettere quasi alla berlina il club di appartenenza dell’assistito (basti pensare alla conferenza indetta dal club di Milano in cui il direttore generale rossonero Fassone annunciava la fumata nera circa il rinnovo dell’estremo difensore italiano: “Raiola mi ha comunicato la decisione di Donnarumma di non rinnovare. È una decisione definitiva”, salvo poi riuscire nell’impresa e far rinnovare al classe ’99 il suo contratto sino al 2021).

Quello che si evince da questi passaggi è che, a volte, non si tiene conto a sufficienza della soddisfazione morale dell’atleta, il quale il più delle volte viene compensato moralmente dalla ricchezza di un guadagno rispetto alla funzionalità di un progetto tecnico.

In un calcio divenuto oramai spurio di bandiere e resosi sempre industrializzato, l’ordinamento sportivo necessiterebbe quantomeno di un ripensamento e di un evoluzione morale nel rapporto tra le categorie in causa: società sportive, atleti e procuratori.

 

Redazione

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