Surrealismo e magia. La modernità incantata

Surrealismo e magia. La modernità incantata

La mostra, alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, racconta i temi cari a questo movimento

di Giuseppe MASSIMINI

Nell’ottobre del 1924 lo scrittore francese André Breton pubblica a Parigi il primo Manifesto Surrealista, movimento letterario e artistico che, di li a poco, sarebbe diventato la principale avanguardia dell’epoca. Segnati dall’orrore della prima e seconda guerra mondiale i surrealisti rifiutarono la razionalità e si rivolsero al loro universo interiore scegliendo di perseguire strade diverse: i sogni, l’irrazionale, l’inconscio, ma anche la magia, la mitologia, l’alchimia e l’occulto. A questi temi, cari ai surrealisti, è dedicata la mostra Surrealismo e magia. La modernità incantata, ospitata alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, Palazzo Venier dei Leoni sul Canal Grande. L’esposizione, a cura di Gražina Subelytė e aperta fino al 26 settembre, raccoglie oltre 60 opere, di 24 artisti, provenienti da 40 prestigiosi musei e collezioni private internazionali. Il percorso espositivo prende avvio dai dipinti metafisici di Giorgio de Chirico considerato da Breton il principale precursore del movimento surrealista. Tra le opere di de Chirico in mostra Il cervello del bambino (1914), dipinto che appartenne alla collezione privata dello stesso Breton e che lo scrittore francese descrisse come un caso di androginia e trasformazione di genere, “non era solo freudiano, ma anche magico”.

Da sinistra, I piaceri di Dagoberto di L. Carrington e La vestizione della sposa di Max Ernst

Domina la sala successiva il concetto di matrimonio alchemico, sinonimo che vede riuniti dopo circa 80 anni due capolavori, La vestizione della sposa di Ernst, del museo veneziano e il Ritratto di Max Ernst  di Leonora Carrington (1939 circa). Ernst raffigura la Carrington, sua compagna dal 1937 al 1940, come strega e incantatrice, mentre la Carrington ritrae Ernst come alchimista, eremita, figura sciamanica. Un’intera sala è dedicata ai lavori di Kurt Seligmann, artista e studioso di occultismo di origine svizzera e autore del libro The Mirror of Magic (1948), un classico dell’occulto ampiamente letto dai surrealisti. Segue un affondo sulla nozione di donna come essere magico e sul tema della sovrapposizione tra vita animale, vegetale e umana. Domina al centro della sala, come un totem magico, La donna gatto (1951), scultura dipinta di Leonora Carrington, a cui si contrappone La magia nera (1945), olio su tela di René Magritte. E ancora La fine del mondo (1949) di Leonor Fini, una delle artiste più enigmatiche del Novecento e Il gioco magico dei fiori (1941) di Dorothea Tanning, una giovane adolescente il cui corpo si tramuta in vestito di fiori. La mostra si chiude con i temi delle forze cosmiche e della dimensione dell’invisibile, incarnati dalle tele di Salvador Dalí, Óscar Domínguez, Roberto Matta, Wolfgang Paalen, Kay Sage e Yves Tanguy, in un dialogo serrato che anima l’ultima sala.

Redazione

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