L’intervista: Paolo Derbio, il gesto di un’emozione

L’intervista: Paolo Derbio, il gesto di un’emozione

di Giuseppe MASSIMINI

In questi ultimi mesi ho avuto il piacere di ammirare più volte, in diverse esposizioni, la pittura di Paolo Derbio, tutta giocata su variazioni di accordi cromatici che vibrano nel guizzo felice delle pennellate che si sovrappongono sulla tela in cui trovano rifugio ricordi e frammenti della quotidianità. Ci incontriamo alla Galleria Nazionale di Arte Moderna a Roma in occasione della mostra di Giuseppe Capogrossi.

Paolo Derbio nome d’arte di G.Paolo Saldi arriva da Manerbio (Brescia) dove vive e svolge la sua attività artistica. “Non potevo perdermi questa mostra, perché nel mio percorso Capogrossi è stato un punto di riferimento”, mi dice.

Spiegati meglio.

Quando frequentavo a Roma la Scuola Libera del Nudo, il mio insegnante era Virgilio Guzzi e come orizzonte avevo i pittori della scuola romana. Successivamente ho rivisitato la pittura cubista e neo-cubista per approfondire la ricerca di quella astratta, informale e materica-espressiva, riscoprendo Capogrossi e mi sono così avvicinato a Burri, ai futuristi, a Emilio Vedova, a Ennio Morlotti.

Come hai proseguito, poi, la tua ricerca?

Dopo molto tempo di “silenzio pittorico”, da pochi anni ho ripreso a dipingere. Mi piace ancora tradurre nella pittura le emozioni, i ricordi, i sentimenti remoti, e anche quelli più immediati, appartenenti alla realtà vissuta, all’inconscio, alla virtualità e alla fantasia, cercando di essere culturalmente incisivo e mai conforme.

Per me la pittura è intima comunicazione.

Da sinistra, Estate e Senno perduto di Paolo Derbio

Cos’è per te il segno?

È la traduzione immediata e sempre diversa di un’emozione, di uno stato d’animo.

E la materia?

La materia rappresenta la parte strutturale delle mie opere. Mi aiuta a trovare un contatto con le mie emozioni.

Oggi a quali maestri ti senti più vicino ?

A parte i grandi del Rinascimento italiano, sono da sempre attratto dalle opere di alcuni pittori. È sempre meraviglioso riavvicinarli, riscoprirli e “cercare di apprenderne” le conoscenze e le tecniche. Tra questi sicuramente Mariano Zela per la sua generosità nel trasferire ad altri le competenze e Emilio Vedova per la sua gestualità non repressa; Carlo Carrà, Giacomo Balla e Umberto Boccioni con la loro lezione futurista di “ondulata plasticità”, ma anche Gino Severini. Come molti anni fa mi attrae sempre la pittura del periodo espressionista e informale di Ennio Morlotti.

Come giudichi oggi il tuo lavoro?

Sempre alla ricerca di “quell’equilibrio anche solo effimero”, senza compromessi.

Redazione

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